A pochi giorni dall’insediamento, il team di Donald Trump sta preparando un piano straordinario di espulsione dei migranti irregolari negli Stati Uniti, con l’obiettivo di deportare milioni di persone attraverso una dichiarazione di emergenza nazionale.
Mentre si avvicina il passaggio di consegne con il presidente uscente Joe Biden, previsto la prossima settimana, il team del leader repubblicano Donald Trump sarebbe impegnato nella stesura di un ambizioso programma di espulsione dei migranti irregolari, destinato a diventare una delle più ampie operazioni di deportazione mai attuate negli Stati Uniti. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, il piano potrebbe includere una dichiarazione di emergenza nazionale già nel giorno dell’insediamento di Trump, il 20 gennaio 2025. Tale dichiarazione consentirebbe di attingere ai fondi del Pentagono e di sfruttare le risorse militari per sostenere il trasferimento e la detenzione degli immigrati.
Il progetto di deportazione di Trump
Nel dettaglio, il piano prevede un’azione coordinata su vari fronti, con una serie di misure che mirano a superare le limitazioni economiche e legali attualmente esistenti. Trump, infatti, avrebbe intenzione di avvalersi delle forze militari per individuare e deportare migranti senza un regolare permesso di soggiorno, una mossa che richiederebbe tuttavia modifiche alle leggi federali. Le leggi degli Stati Uniti attualmente vietano l’impiego delle forze armate per compiti di polizia interna senza un’esplicita autorizzazione del Congresso, ma il team del tycoon starebbe valutando vie legali per aggirare questi ostacoli.
Secondo un funzionario del Pentagono intervistato dalla CNN, all’interno delle forze armate si starebbero preparando per ogni eventualità, temendo per un utilizzo massiccio delle risorse militari. “Ci stiamo preparando per l’ipotesi peggiore anche se per ora non sappiamo cosa succederà”, ha affermato il funzionario.
I costi del piano e le sfide economiche
Tra le problematiche più complesse che circondano il progetto c’è l’elevato costo economico: stando a una stima dell’American Immigration Council, l’espulsione di circa 13 milioni di migranti irregolari comporterebbe una spesa che potrebbe arrivare fino a 315 miliardi di dollari. Tale cifra comprenderebbe i costi per individuare, detenere e trasferire le persone coinvolte, oltre a generare possibili ripercussioni sui contribuenti americani. Alcuni esperti sostengono che il piano potrebbe anche penalizzare l’economia nazionale, dal momento che la presenza dei migranti irregolari contribuisce a vari settori produttivi e genera un gettito fiscale annuo stimato attorno ai 47 miliardi di dollari.
Secondo gli analisti, l’eliminazione di una porzione così ampia della forza lavoro avrebbe un impatto diretto sul PIL degli Stati Uniti, con una riduzione stimata tra il 4% e il 6%. Oltre alla perdita fiscale, anche i settori della ristorazione, dell’edilizia e dell’agricoltura, che impiegano numerosi lavoratori migranti, risentirebbero significativamente della carenza di manodopera.
Il coinvolgimento dei diplomatici statunitensi
Il piano dello staff di Trump prevede anche un ruolo attivo per i diplomatici statunitensi presenti nei Paesi di origine dei migranti destinati alla deportazione. I funzionari dell’ambasciata e del consolato dovrebbero collaborare per facilitare i rimpatri, negoziando con i governi locali e garantendo che gli espulsi possano essere reintegrati nei loro Paesi d’origine. Tuttavia, esperti di politica estera sottolineano che questa strategia potrebbe compromettere i rapporti diplomatici con le nazioni coinvolte, particolarmente se le espulsioni dovessero intensificarsi in modo significativo.
Uno dei principali ostacoli che il piano di Trump potrebbe incontrare è di natura legale. Le norme statunitensi vietano l’utilizzo delle forze armate per scopi di polizia senza un’autorizzazione formale del Congresso, ma il team di Trump starebbe esplorando modalità per superare questo vincolo. Inoltre, ci sono resistenze all’interno dello stesso Pentagono: Trump, durante il suo primo mandato, ha avuto rapporti non sempre facili con i vertici militari, e oggi la tensione sembra riaffiorare. La proposta di impiegare l’esercito per un compito così delicato suscita infatti timori tra alcuni funzionari che temono di dover gestire operazioni di polizia interna su larga scala.
Le reazioni alla notizia di un piano di deportazione massiccia sono state immediate, con gruppi per i diritti umani e organizzazioni di advocacy per i migranti che hanno espresso preoccupazioni sulla legalità e sull’eticità del progetto. Le critiche si concentrano sul possibile uso della forza militare contro i migranti, oltre che sugli effetti devastanti che una deportazione di massa avrebbe sulle comunità e sulle famiglie di migranti già stabiliti negli Stati Uniti.
Alcuni esperti di diritto costituzionale hanno inoltre sottolineato che il piano potrebbe innescare una lunga serie di battaglie legali. Secondo le leggi statunitensi, infatti, la detenzione e la deportazione di migranti devono rispettare una serie di diritti fondamentali, e l’impiego di risorse militari potrebbe risultare in violazione di tali garanzie. L’avvocato Alan Bersin, ex commissario per la dogana e la protezione delle frontiere, ha dichiarato: “Un tale programma potrebbe suscitare un enorme contraccolpo giudiziario. Le autorità statunitensi devono agire nel rispetto delle leggi nazionali e internazionali, e qualsiasi violazione dei diritti umani rischierebbe di isolare ulteriormente il Paese.”
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