La Corte d’Assise di Milano ha assistito alla requisitoria contro Alessandro Impagnatiello, accusato di aver ucciso la compagna incinta, Giulia Tramontano. La procura ha richiesto la pena dell’ergastolo con 18 mesi di isolamento.
Le richieste dell’accusa per l’omicidio di Giulia Tramontano
Durante l’udienza di lunedì 11 novembre alla Corte d’Assise di Milano, le procuratrici Letizia Mannella e Alessia Menegazzo hanno chiesto l’ergastolo con un periodo aggiuntivo di isolamento diurno per Alessandro Impagnatiello. L’uomo è accusato dell’omicidio pluriaggravato della compagna Giulia Tramontano, che aspettava il loro figlio ed era al settimo mese di gravidanza. La requisitoria ha messo in evidenza le circostanze aggravanti del caso, tra cui la relazione affettiva tra i due, la premeditazione dell’atto, la crudeltà e la motivazione futile che avrebbe spinto Impagnatiello a eliminare Giulia per evitare responsabilità non volute, specie riguardo alla nascita del bambino.
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Giulia, secondo quanto ricostruito, era ignara dei piani che Impagnatiello avrebbe pianificato per mesi. Il movente dell’omicidio, per le procuratrici, risiedeva nel tentativo dell’imputato di mantenere una determinata immagine sociale e familiare, oltre alla volontà di proseguire la relazione parallela con un’altra donna. La gravidanza di Giulia sarebbe diventata, agli occhi di Impagnatiello, un ostacolo che lui ha deciso di eliminare pianificando il delitto.
I dettagli e la pianificazione dell’omicidio
Secondo l’avvocato Giovanni Cacciapuoti, legale della famiglia Tramontano, la scoperta della gravidanza avrebbe rappresentato per Impagnatiello un momento cruciale. L’uomo avrebbe dapprima tentato di provocare un aborto spontaneo attraverso somministrazioni di sostanze pericolose e, successivamente, avrebbe ideato il piano per eliminare la compagna. La relazione con l’altra donna, conosciuta da Giulia nel pomeriggio dell’omicidio, avrebbe accelerato i tempi del tragico evento.
La strategia di Impagnatiello era articolata: dall’acquisto di sostanze tossiche all’uso di veleno per topi, fino alle ricerche su Internet per individuare modalità di aborto. Tali elementi sono stati confermati anche dalle perizie autoptiche, che hanno rilevato tracce di sostanze tossiche sia sul corpo di Giulia che su quello del feto. Gli investigatori hanno inoltre documentato le sue ricerche post-omicidio su come eliminare le tracce e pulire la scena del delitto.
La perizia psichiatrica e il profilo dell’imputato
Dalla perizia psichiatrica sull’imputato è emerso un quadro di narcisismo e tratti psicopatici, pur senza riscontrare patologie cliniche tali da compromettere la sua capacità di intendere e volere. Questo profilo è stato giudicato rilevante per spiegare la volontà dell’imputato di mantenere una facciata sociale positiva nonostante il piano omicida. Dopo un’iniziale manifestazione di non volere il bambino, Impagnatiello avrebbe finto di sostenere Giulia e partecipato a eventi legati alla gravidanza, come la festa per conoscere il sesso del nascituro. In realtà, parallelamente, avrebbe pianificato di eliminarla.
Alla ragazza con cui Impagnatiello intratteneva una relazione, avrebbe mentito sul fatto di non essere il padre del bambino di Giulia, arrivando addirittura a falsificare un test del DNA per dimostrare il contrario. Il comportamento manipolatorio dell’imputato, finalizzato a gestire le diverse relazioni e a portare avanti i propri progetti personali, si è così rivelato un elemento chiave della strategia dell’accusa.
La difesa di Impagnatiello: un uomo “fragile e vulnerabile”
Gli avvocati difensori di Impagnatiello hanno presentato una versione alternativa del suo comportamento, cercando di smontare le aggravanti. La difesa ha sostenuto che Impagnatiello fosse caratterizzato da una personalità fragile e da un atteggiamento ambivalente verso Giulia e la loro relazione. Hanno definito il suo comportamento “ondivago” rispetto all’intenzione di porre fine alla relazione, negando così l’aggravante della premeditazione. La difesa ha inoltre messo in dubbio l’accusa di crudeltà, spiegando che l’incontro tra Giulia e l’altra donna, avvenuto poco prima dell’omicidio, avrebbe rappresentato un trauma insopportabile per l’imputato, che si sarebbe sentito con le “spalle al muro” e incapace di affrontare la situazione in modo razionale.
Secondo i difensori, Impagnatiello era in preda a un conflitto interiore, definito dagli avvocati come “insostenibile”, e avrebbe reagito alla pressione scegliendo quella che, ai suoi occhi, rappresentava una via d’uscita drastica ma inevitabile. Viene quindi ritratto come un uomo emotivamente vulnerabile, spinto a un atto estremo dalla disperazione.
La reazione della famiglia e il tema della dignità di Giulia Tramontano
La rappresentazione della difesa, tuttavia, ha sollevato dure critiche da parte della famiglia Tramontano e della pubblica accusa. L’avvocato Cacciapuoti ha sottolineato come questa narrazione leda profondamente la memoria di Giulia e del figlio che portava in grembo, attribuendole ingiustamente parte della responsabilità per la sua morte. Sostenere che la donna abbia “provocato” la reazione violenta di Impagnatiello, secondo l’avvocato della famiglia, è una forma di vittimizzazione secondaria che insulta la dignità della vittima.
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