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Il dolore immenso di Perinetti per la scomparsa della figlia Emanuela: “Non trovo pace, non sono riuscito a proteggerla”

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La perdita di una figlia e il dolore di un padre: la storia di Giorgio Perinetti e la lotta contro l’anoressia che ha portato via Emanuela, 33 anni.

Perdere un figlio è un dolore che non si può descrivere completamente a parole, un vuoto che rimane incolmabile. Giorgio Perinetti, noto direttore sportivo, ha raccontato come vive oggi dopo la scomparsa della figlia Emanuela, morta all’età di 33 anni a causa dell’anoressia. “Un figlio continua a essere dentro di te, respira attraverso il tuo respiro”, ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera, cercando di esprimere il senso di smarrimento e sofferenza che lo accompagna ogni giorno.

La tragedia è avvenuta un anno fa e da allora il tempo non ha lenito il dolore. “Non è vero che il tempo medica, guarisce oppure aiuta a dimenticare”, ha affermato Perinetti, spiegando quanto sia difficile per un genitore accettare una perdita così devastante. “Per un genitore è impossibile rassegnarsi ad una perdita talmente angosciante”, ha aggiunto, ricordando i momenti drammatici vissuti e impressi nella sua memoria.

Un’immagine in particolare rimane scolpita nel cuore del padre: “La tenerezza che infondeva quel suo corpicino sempre più esile”. Queste parole descrivono il dolore nel vedere la propria figlia consumarsi lentamente a causa di una malattia che l’ha portata via. L’anoressia, una condizione complessa e spesso difficile da comprendere, ha reso Emanuela sempre più fragile fino a spegnere la sua vita. “E non so darmi pace. Perché sono stato incapace di comprendere i segnali che Emanuela mi mandava, di prevenire e intervenire. Non sono riuscito a convincerla per evitare l’inevitabile”, ha confessato Perinetti, esprimendo i sensi di colpa che lo tormentano.

Il giorno del funerale, il direttore sportivo aveva già espresso il suo dolore con parole simili: “Non sapremo mai le ombre che hanno creato un disagio così grande che non abbiamo saputo e potuto contrastare”. La domanda che continua a tormentarlo è sempre la stessa: cosa ho sbagliato? Un interrogativo che non trova risposta e che rende ancora più difficile trovare pace interiore. “Purtroppo quando ci siamo resi conto di tutto era troppo tardi”, ha ammesso con amarezza.

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