“Attacco al potere”: un thriller politico tra terrorismo e libertà civili, con critiche e riflessioni che lo rendono ancora attuale. Diretto da Edward Zwick e interpretato da un cast stellare, il film esplora i rischi della legge marziale e dei pregiudizi razziali.
Il film “Attacco al potere” (The Siege), diretto nel 1998 da Edward Zwick, rappresenta un intricato thriller politico e d’azione che affronta temi di terrorismo, sicurezza nazionale e diritti civili. Ambientato in una New York scossa da una serie di attentati terroristici, il film vede protagonisti Denzel Washington, Annette Bening, Tony Shalhoub e Bruce Willis. La pellicola, pur essendo una storia fittizia, si distingue per la sua capacità di sollevare domande profonde sulle libertà individuali e sulle conseguenze del pregiudizio.
La trama: un’escalation di tensione
La vicenda si concentra sull’agente speciale dell’FBI Anthony Hubbard (interpretato da Denzel Washington) e sul suo partner di origine libanese, Frank Haddad (Tony Shalhoub), coinvolti in una serie di operazioni contro cellule terroristiche. Gli attentati iniziano con un dirottamento di autobus che si rivela un falso allarme, ma proseguono con azioni devastanti, tra cui un attentato suicida che uccide 25 persone e l’esplosione di un teatro. La situazione precipita quando viene distrutta la sede dell’FBI a One Federal Plaza, causando oltre 600 vittime.
L’indagine dell’FBI si intreccia con l’operato dell’agente della CIA Elise Kraft (Annette Bening), il cui vero nome è Sharon Bridger. Kraft rivela di aver collaborato in passato con militanti addestrati per opporsi al regime di Saddam Hussein, ma che ora si sono rivolti contro gli Stati Uniti dopo il taglio dei finanziamenti. Questo legame complesso porta Hubbard e Bridger a collaborare, nonostante i conflitti iniziali, per fermare l’ultima cellula terroristica.
L’imposizione della legge marziale
Di fronte all’escalation degli attacchi, il Presidente degli Stati Uniti dichiara la legge marziale, affidando alla 101ª Divisione Aviotrasportata, comandata dal generale William Devereaux (Bruce Willis), il compito di sigillare Brooklyn. La decisione scatena una serie di eventi drammatici: giovani arabi-americani vengono radunati in campi di detenzione, incluso il figlio di Haddad, Frank Jr. La città diventa teatro di proteste violente e tensioni razziali.
La legge marziale porta alla repressione indiscriminata e alla violazione dei diritti umani. La situazione culmina quando gli uomini di Devereaux torturano un sospetto terrorista, Tariq Husseini, senza ottenere informazioni utili. Questo abuso spinge Hubbard a sfidare Devereaux, arrestando il generale e ponendo fine alla legge marziale. I detenuti vengono liberati, ma il prezzo pagato dalla città e dalle vittime degli attentati è incalcolabile.
Un finale tra sacrificio e riflessione
Il climax del film si svolge durante una marcia per la pace, quando si scopre che Samir, un collaboratore di Bridger, è l’ultimo membro della cellula terroristica. Samir si prepara a un attentato suicida, ma viene fermato da Hubbard e Haddad. Durante lo scontro, Bridger resta gravemente ferita e muore poco dopo, pronunciando le parole: “Inshallah”. Il sacrificio di Bridger e l’arresto di Devereaux chiudono la vicenda, ma lasciano aperte le questioni morali sul costo della sicurezza.
Fin dalla sua uscita, il film ha suscitato accese polemiche. L’American-Arab Anti-Discrimination Committee lo ha definito “estremamente offensivo”, sottolineando come rafforzasse stereotipi pericolosi sugli arabi-americani e sui musulmani. Il portavoce Hussein Ibish ha dichiarato che il film era “insidioso e incendiario”, associando pratiche religiose musulmane, come l’abluzione, al terrorismo.
Anche il Council on American-Islamic Relations ha criticato il film per l’immagine negativa dei musulmani, sottolineando che rappresentava un totale disprezzo per la vita umana attribuito a un intero gruppo etnico. Le proteste, incluse manifestazioni nei cinema, hanno contribuito a limitare il successo al botteghino del film, ma dopo gli attentati dell’11 settembre, “Attacco al potere” è diventato uno dei film più noleggiati in America, evidenziando il suo impatto culturale.
Edward Zwick ha difeso il film, affermando che il suo scopo era stimolare una riflessione critica sulla società americana. In un’intervista, Zwick ha dichiarato: “Il film ispira dialogo. Vedere gli americani radunati e detenuti senza habeas corpus è una cosa agghiacciante e terrificante. Questo è ciò che si porta via dal film.” Ha inoltre respinto le richieste di modificare la storia per evitare controversie, sostenendo che il cinema ha il compito di mettere in discussione, anche a costo di offendere.
Un messaggio ancora attuale
A distanza di anni, “Attacco al potere” rimane un’opera controversa e discussa, capace di anticipare tematiche che si sarebbero drammaticamente concretizzate negli anni successivi. Il film non solo affronta il terrorismo, ma mette in luce i rischi di reazioni eccessive da parte dei governi, ricordando che la lotta per la sicurezza non dovrebbe mai sacrificare i diritti fondamentali.
Oltrepassa la censura dei social sotto regime. Seguici su Telegram: Basta un clic qui