Una donna calabrese di 53 anni racconta le difficoltà incontrate nel mondo del lavoro, tra discriminazioni e diritti negati, dopo anni di impegno e sacrifici.
Una lettera inviata alla redazione di Fanpage.it da una donna di Cosenza, 53 anni, getta luce su una storia di sacrificio e ingiustizia nel mondo del lavoro. La sua esperienza, legata al settore del catering, iniziata con entusiasmo e determinazione, si è trasformata in un percorso segnato da discriminazioni, precarietà e lotte per il riconoscimento dei propri diritti.
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La donna racconta di aver iniziato a lavorare all’età di 19 anni. In un contesto sociale e lavorativo già complesso, ha cresciuto due figli e, a 39 anni, affrontato una separazione che ha reso ancora più difficile mantenere un equilibrio economico. Durante quel periodo, lavorava a tempo pieno per un’azienda di catering che forniva mense scolastiche nella sua città. Nonostante le difficoltà personali, si riteneva fortunata e appassionata del proprio lavoro, che svolgeva con dedizione.
Tuttavia, dopo 14 anni di servizio, l’azienda per cui lavorava ha chiuso, venendo sostituita da un’altra società. A quel punto è iniziato il suo calvario. Nonostante formalmente il suo contratto fosse stato ridotto a part-time, le ore lavorative effettive restavano identiche, una situazione che la donna definisce sfruttamento. La sua posizione di donna divorziata e bisognosa di un lavoro stabile è stata utilizzata, secondo quanto riferisce, per giustificare atteggiamenti poco rispettosi e approfittarsi della sua situazione.
Le difficoltà sono culminate con la fine del rapporto di lavoro. L’azienda si è rifiutata di corrispondere l’ultimo stipendio e il trattamento di fine rapporto (TFR) dovuto per legge. Non ricevendo risposte chiare, ha deciso di affidarsi a un avvocato per tentare di recuperare quanto spettava. Tuttavia, l’ex datore di lavoro, come sostiene la donna, ha avuto un impatto devastante sulla sua carriera successiva. Attraverso ciò che lei definisce “terra bruciata”, ha ostacolato ogni sua possibilità di continuare a lavorare nel settore del catering, privandola di una stabilità economica e professionale.
Le parole della donna sono amare: “Eccomi a 53 anni ad essere ‘vecchia’ per un posto di lavoro! Eppure io mangio e pago le tasse come una persona che ne ha 20. Ma non è così.” Una dichiarazione che mette in evidenza un problema sistemico: l’esclusione dal mercato del lavoro delle persone sopra una certa età, anche se dotate di esperienza e competenze.
Questa testimonianza rappresenta un caso emblematico di ciò che molte persone in Italia vivono, in particolare le donne, spesso costrette a gestire un doppio carico di lavoro, familiare e professionale. La questione della discriminazione basata sull’età e del mancato rispetto dei diritti lavorativi emerge con forza dalle sue parole.
Non è raro, infatti, che la precarietà e l’instabilità lavorativa colpiscano maggiormente coloro che si trovano in situazioni vulnerabili. Le donne, in particolare, continuano a essere penalizzate da una cultura che non valorizza adeguatamente il loro ruolo né garantisce loro pari opportunità. Il settore del catering e della ristorazione, dove i contratti precari e il lavoro sottopagato sono purtroppo diffusi, sembra essere un esempio lampante di queste dinamiche.
La decisione della donna di affidarsi a un avvocato sottolinea l’importanza di conoscere e far valere i propri diritti. Tuttavia, la mancanza di tutele effettive e di strumenti di controllo efficaci rende spesso queste battaglie lunghe e logoranti, dissuadendo molte persone dal perseguirle.
Oltre al problema dell’età e della discriminazione di genere, la lettera sottolinea un altro tema cruciale: la responsabilità delle aziende nel rispettare le normative e garantire condizioni di lavoro dignitose. Situazioni come quella descritta, in cui un lavoratore deve lottare per ottenere ciò che gli spetta, mettono in discussione l’efficacia del sistema di controllo e di sanzione nei confronti delle imprese.
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