Kianoosh Sanjari, noto giornalista e attivista iraniano, si è suicidato a Teheran dopo aver chiesto invano la liberazione di quattro prigionieri politici detenuti in Iran. Prima di compiere il gesto estremo, ha lasciato un messaggio di denuncia contro la repressione del regime.
La protesta estrema di Sanjari contro la repressione iraniana
Il giornalista e attivista Kianoosh Sanjari ha tragicamente messo fine alla sua vita a Teheran come gesto di protesta contro il governo iraniano, colpevole, secondo lui, di reprimere i diritti civili e politici dei cittadini. La sua azione era stata preannunciata sui social, dove Sanjari aveva dichiarato che, se entro le 19 del giorno successivo non fosse stata annunciata la liberazione di quattro prigionieri politici, si sarebbe suicidato. Nel suo messaggio di addio, aveva scritto: “Se entro le 19 di oggi il loro rilascio non verrà annunciato, porrò fine alla mia vita in segno di protesta contro la dittatura di Khamenei e i suoi complici”.
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La richiesta di Sanjari riguardava la scarcerazione di Fatemeh Sepehri, Nasrin Shakarami, Toomaj Salehi e Arsham Rezaei, tutti noti attivisti incarcerati a seguito delle proteste per Mahsa Amini o successivamente alle manifestazioni che ne seguirono. Sanjari ha mantenuto la parola data: poco dopo la scadenza dell’ultimatum, ha pubblicato una foto di sé stesso sul ponte Hafez a Teheran e, da lì, si è tolto la vita.
L’ultimo messaggio: “Moriamo per amore della vita, non della morte”
In un messaggio postato pochi minuti prima di togliersi la vita, Sanjari aveva espresso con fermezza il suo rifiuto della repressione politica: “Rispetto la parola. Nessuno dovrebbe essere incarcerato per aver espresso le proprie opinioni. La protesta è un diritto di ogni cittadino iraniano. La mia vita finirà dopo questo tweet, ma non dimentichiamo che moriamo e moriamo per amore della vita, non della morte. Mi auguro che un giorno gli iraniani si sveglino e superino la schiavitù”.
Queste parole, condivise insieme a una foto scattata dalla sommità del ponte Hafez, hanno immediatamente attirato l’attenzione di migliaia di utenti sui social, che si sono riversati a commentare e condividere il messaggio di Sanjari. Nei video che hanno iniziato a circolare poco dopo il gesto, si vede il corpo di un uomo ai piedi del ponte, con due persone che cercano invano di soccorrerlo. La sua morte è stata poi confermata dall’emittente Iran International e da fonti locali, inclusi altri attivisti iraniani come Hossein Ronaghi.
Chi erano i prigionieri per cui Sanjari ha protestato
Uno dei quattro prigionieri la cui liberazione era stata richiesta da Sanjari è Nasrin Shakarami, madre di Nika Shakarami, la giovane attivista sedicenne il cui omicidio è divenuto un simbolo del movimento “Donna, Vita, Libertà”. Nika Shakarami è stata uccisa durante le proteste seguite alla morte di Mahsa Amini, ragazza arrestata per non aver indossato correttamente il velo e deceduta in custodia della polizia. La sua storia ha scosso l’opinione pubblica iraniana e internazionale, facendo di lei un emblema della lotta per i diritti civili e la libertà in Iran.
Gli altri attivisti, Fatemeh Sepehri, Toomaj Salehi e Arsham Rezaei, sono noti oppositori del regime che da tempo sostengono le manifestazioni di dissenso contro le autorità. Le loro incarcerazioni si inseriscono in un contesto di repressione sempre più rigida contro chiunque esprima opinioni contrarie alla linea governativa iraniana.
Il ritorno in Iran e la lunga lotta per i diritti civili
Nato nel 1982, Kianoosh Sanjari ha trascorso gran parte della sua vita negli Stati Uniti, dove si era trasferito a causa delle continue minacce e arresti subiti in patria per via del suo attivismo. Nel 2015, tuttavia, aveva scelto di rientrare in Iran per stare vicino alla madre anziana, nonostante i rischi che ciò comportava. Negli anni tra il 1999 e il 2007, Sanjari era stato incarcerato più volte dalle autorità iraniane a causa delle sue posizioni critiche nei confronti del governo e del suo attivismo in difesa dei diritti umani.
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