La drammatica storia di Leonardo Calcina, un ragazzo di 15 anni di Senigallia, ha scosso profondamente non solo la sua famiglia, ma anche la comunità locale. Il giovane ha scelto di togliersi la vita utilizzando la pistola del padre, vittima di ripetuti atti di bullismo presso l’istituto Panzini. La procura ha avviato un’inchiesta sul caso, concentrando l’attenzione su tre dei suoi compagni di scuola, accusati di maltrattamenti inaccettabili che in parte vengono descritti nei profondi ricordi della madre, Viktoryia Ramanenka.
Viktoryia, contabile di 39 anni originaria di Minsk, ha condiviso con il Corriere della Sera il ritratto di un figlio descritto come il suo riflesso: “Leonardo era la mia copia. Aveva un carattere serio e caparbio, una memoria di ferro, e sognava in grande”. Il racconto di una vita spezzata mette in luce la gravità della situazione, mentre attorno alla bara del giovane si radunavano volti noti e meno noti, suscitando il profondo rifiuto della madre nei confronti di chi, ora, si presenta in forma di condoglianze.
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La denuncia di Viktoryia non si limita al dolore per la perdita di suo figlio, ma si espande in una critica irreversibile a un sistema che ha fallito nel proteggere i giovani. “Tanta gente al funerale, ma dov’era quando Leo aveva bisogno d’aiuto? Quando il preside si è avvicinato per porgere le condoglianze, gli ho detto di allontanarsi”, racconta con amarezza. La madre del ragazzo sottolinea che non c’è spazio per scuse tardive: “Leonardo chiedeva aiuto, ma nessuno lo ha ascoltato”.
In risposta alla tormentata vicenda, il ministero della Pubblica Istruzione ha avviato un’inchiesta approfondita per verificare la condotta dell’istituto. Si sospetta che non siano state adottate adeguate misure di supporto per Leonardo, che anche nei momenti più desolanti rifiutava di affrontare il problema a causa della sua natura pacifica e mite.
Viktoryia dettaglia una serie di avvenimenti inquietanti che hanno preceduto il tragico epilogo. “Il 7 ottobre abbiamo deciso di affrontare la situazione in famiglia”, ricorda, “ma Leo continuava a dire che non voleva più andare a scuola”. Le conversazioni rivelano un ragazzo sotto pressione, costretto a subire offese di natura sessuale da parte di compagni che avrebbero dovuto essere amici e compagni. “L’ho incoraggiato a parlarne con i professori, ma lui mi ha detto che non ascoltavano e andavano avanti con la lezione”.
Tumulto interiore e ansia crescenti hanno segnato i giorni successivi. Il 10 ottobre, tre giorni prima di suicidarsi, Leonardo affermò di aver “sistemato le cose” da solo, stringendo la mano a uno dei bulli. Tuttavia, la risoluzione apparente si è rivelata illusoria. La madre lo ha rivisto “muto e angosciato” il giorno successivo, incapace di affrontare la scuola. La tragica decisione è stata presa la domenica seguente.
“Non possiamo permettere che atti di bullismo rimangano impuniti. Chiedo giustizia: quei ragazzi devono andare in riformatorio. E chi ha sbagliato tra i professori dovrà rendere conto di fronte alla legge”, afferma con determinazione Viktoryia. La responsabilità di garantire la sicurezza dei ragazzi e di tutelarli spetta, infatti, a coloro ai quali le famiglie li affidano con fiducia.
Il caso di Leonardo Calcina, in ultima analisi, ci invita a riflettere sull’importanza di un’azione tempestiva contro il bullismo. È cruciale che le scuole adottino misure preventive e che i genitori e le istituzioni collaborino per creare un ambiente sicuro in cui i giovani possano crescere senza paura. La storia di Leonardo deve servire come monito e incoraggiamento a rimanere vigili e attivi nella lotta contro il bullismo, evitando che tragedie simili si ripetano in futuro.
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