Il sol dell’avvenire: un viaggio attraverso le sfide artistiche e politiche cui il cinema di oggi fronteggia con creatività e responsabilità nella visione di Moretti.
Il film più recente di Nanni Moretti, Il sol dell’avvenire, rappresenta un’opera che supera il disincanto contemporaneo con una forza immaginativa. Attraverso citazioni e canzoni, si propone di esplorare e sciogliere le intricati tematiche che riempiono la narrazione.
Nel racconto, seguiamo Giovanni, un regista settantenne interpretato dallo stesso Moretti, il quale è immerso nella realizzazione di tre opere. La prima è un progetto già in corso, intitolato appunto Il sol dell’avvenire, un titolo che trae spunto dalla storica canzone della Resistenza, Fischia il vento. Quest’opera si concentra sulla vita di Ennio, un giornalista dell’Unità e segretario del PCI al Quarticciolo, e di Vera, una sarta. I due vivono la gioia di un circo ungherese che giunge a Roma, per poi confrontarsi con le drammatiche notizie sui moti popolari a Budapest che, purtroppo, verranno repressi nel sangue.
Un secondo film è in fase di scrittura, tratto dal racconto Il nuotatore di John Cheever; narra di un uomo di nome Ned, che intraprende una nuotata faticosa tornando a casa attraverso varie piscine, un viaggio che simboleggia il suo declino esistenziale. Infine, si immagina un terzo film: una storia d’amore tra due giovani al cinema, mentre assistono a La dolce vita, con le loro emozioni che si snodano attraverso le canzoni italiane nel corso della vita.
Giovanni si riflette in ciascuno dei personaggi maschili: è l’angosciato Ennio, che affronta la crisi del suo partito; il nuotatore, che esplora i propri limiti fisici; e il giovane che trasforma la relazione con la sua compagna in una lotta costante contro le proprie insicurezze. La sua interazione con questi personaggi ha un effetto di correzione e reimagining, un tentativo di redimere le incertezze della vita con una narrazione di speranza, proiettandoli verso un futuro migliore, il sol dell’avvenire.
Il film è concepito come un metafilm, giocando sul concetto di strati sovrapposti, dove la costruzione di film e storie si intreccia con la vita reale, trasformandola in spettacolo. Pirandello pare fare capolino in questa narrazione, poiché la vita si manifesterebbe attraverso le proprie maschere, richiedendo una valutazione estetica che unisca etica e estetica in un’unica occasione di responsabilità creativa.
Uno dei momenti più esilaranti del film si verifica quando Giovanni cerca di ostacolare l’ultima scena di un thriller che la moglie sta producendo. La sua contrarietà si fonda sull’idea che il linguaggio visivo non debba cadere nell’ovvio e nel cliché. Citando Corrado Augias, Giovanni ribadisce che “l’arte deve essere controintuitiva”, un principio di resistenza contro la banalità che lo anima. La sua missione è di disegnare un’immagine che contribuisca a una realtà più ricca, pur nell’afflizione di un artista la cui carriera è segnata dall’incertezza.
Nel corso dell’opera, ci sono scene che includono canzoni iconiche, come “Sono solo parole” di Fabrizio Moro. Questo utilizzo festivo della musica non è casuale; esse riprendono l’eco delle parole importanti, enfatizzando il peso della comunicazione. Giovanni è fervente nel ricordare quanto ogni parola possa cambiare il significato di un’intera storia, analogamente a quanto avviene con i principi morali, basilari per la sua esistenza artistica e personale.
La politica, come esplorato nel film, non è solo un tema, ma si incarna anche nell’amore e nelle relazioni. Sebbene Giovanni stia vivendo un momento difficile, con la moglie Paola che sta pensando di lasciarlo e una figlia innamorata di un uomo più anziano, il regista decide, in un atto di coraggio, di cambiare il finale del suo film. Ha finalmente la chiara visione di un mondo dove i comunisti non abbandonano i giovani ribelli ungheresi, ma si schierano dalla loro parte. Non solo sta ri-scrivendo la sua narrazione, ma anche tracciando un’opportunità realistica per l’amore e la solidarietà.
La conclusione del film presenta una marcia di celebrazione che unisce i personaggi, creando un senso di comunità e continuità, simboleggiando una spinta collettiva verso il domani. Dalla disperazione alla speranza, Moretti ci invita a riscrivere non solo le nostre storie, ma anche i fondamentali valori che le sostengono. Così, l’onirico e il reale si fondono, incitando a costruire un futuro non bloccato dai cliché, ma ricco di immaginazione e significato, dove l’arte torna a essere un potente strumento di transformation e rinnovamento.
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