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Come finisce Non si ruba a casa dei ladri: trama, cast e spiegazione finale

Una commedia che esplora la vendetta e l’etica del lavoro in “Non si ruba a casa dei ladri” dei fratelli Vanzina, un film che omaggia la tradizione della commedia all’italiana.

Antonio Russo è un piccolo imprenditore partenopeo le cui speranze svaniscono dopo il fallimento della sua azienda, compromessa da una gara d’appalto truccata. Per finanziare il master della figlia negli Stati Uniti, lui e la moglie Daniela si trasformano in camerieri per Simone Santoro, un facoltoso faccendiere romano che vive in un lussuoso villone con la fidanzata Lori. Simone è coinvolto in un giro di corruzione, in contatto con un onorevole pugliese imparentato con la criminalità organizzata. Quando l’onorevole finisce in carcere, Simone si trova costretto a recuperare velocemente i fondi occultati in Svizzera. La situazione si complica ulteriormente quando Antonio scopre che il suo datore di lavoro è il vero artefice della gara d’appalto che gli è costata l’azienda. Invece di consegnare Simone alla giustizia, decide di vendicarsi colpendo direttamente il suo portafoglio.

Questa volta, i fratelli Vanzina attingono a fondo dalla loro conoscenza della commedia all’italiana, creando una sceneggiatura solida che omaggia diversi titoli classici, come In nome del popolo italiano, Pane e cioccolata e La congiuntura. Il film, tuttavia, presenta somiglianze più evidenti con Crimen di Mario Camerini, non solo perché un gruppo eterogeneo si ritrova in un paradiso fiscale, ma anche per la scorrevolezza della scrittura e la qualità della regia, insieme alla galleria di personaggi distintivi. In modo paradossale, “Non si ruba a casa dei ladri” richiama persino Gomorra, offrendo un ritratto consapevole dei suoi “vincenti” come individui da non invidiare.

La coppia Simone-Lori, interpretata da Massimo Ghini e Manuela Arcuri, è composta da due cafoni che sembrano detestarsi a vicenda. La loro ricchezza non evoca il potere di emulazione tipico dei cumenda delle commedie degli anni ’80 e ’90. Simone, ben interpretato da Ghini, incarna un mix di tracotanza e frustrazione esistenziale, soffrendo di ulcera e nostalgico di un tempo in cui il pesce pipa era una sorta di “Rosabella”. Al suo fianco, Lori è rappresentata come un’arraffona ignorante che non ha nulla da invidiare alle eroine dei film passati.

D’altra parte, la coppia Antonio-Daniela rappresenta un esempio invidiabile di complicità e condivisione in ogni aspetto della vita. Non ci sono infedeltà da pellicola cinepanettone, e i piccoli inganni sono solo per ottenere maggiori concessioni dalla politica o raggirare un banchiere tedesco, un peccato minore in questi giorni. Al centro della narrazione c’è un confronto tra l’etica del lavoro e quella dell’imbroglio e del parassitismo. Questo ritorno dei Vanzina alle loro radici non è solo una captatio benevolentiae verso i critici, ma riesce a coinvolgere e divertire: le battute sono intelligenti, sebbene alcune possano cadere nel gusto discutibile, mentre la trama è solida e ben strutturata.

La regia dei Vanzina supporta adeguatamente il cast, che riesce a sostenere l’architettura narrativa con performance che presentano delle “maschere” in versioni sorprendenti: Vincenzo Salemme appare come il napoletano onesto, Stefania Rocca è la torinese non timida, e Teco Celio il banchiere con vulnerabilità umane.

Tra tutti spicca Maurizio Mattioli, le cui performance comiche sono memorabili; egli ricorda a ciascun attore comico l’importanza della costruzione temporale delle battute, dimostrando che possono essere accumulate per creare un effetto comico cumulativo che ogni regista di commedia sogna di ottenere.

Con un mix di commedia e critica sociale, “Non si ruba a casa dei ladri” porta il pubblico a riflettere sulle ingiustizie e sui piccoli compromessi della vita quotidiana, tutto con un tocco di ironia e divertimento che non passa inosservato.

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